lunedì 10 maggio 2021

Azienda Sanitaria Locale natura di Ente Pubblico Economico e conseguente inapplicabilità del termine dilatorio ex art. 14, comma 1°, D.L. n. 669/96 s.m.i.

In un precedente post del novembre 2014 è stato affrontato il tema della natura delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, con lo scopo di verificare se ad esse si applichi o meno il termine dilatorio previsto nell'art. 14, comma 1°, del D.L. n. 669/96 e s.m.i.. 
Visto il successo riscosso dal post, che ha avuto migliaia di visualizzazioni, pubblichiamo volentieri la recente sentenza della Corte di Appello di Roma, decisione che ha confermato l'inapplicabilità alle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere del termine dilatorio in questione, stante la loro natura di Enti Pubblici Economici, e che può essere letta integralmente tramite il link che segue.
Segnatamente la Corte di Appello ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (30/01/2008 n. 2031, 04/07/2014 n. 15304, 07/12/2016 n. 25048) dalla quale emerge la qualificazione delle Aziende Sanitarie "come enti, non solo operanti secondo i moduli di diritto privato, ma esplicitamente caratterizzati da una finalità di tipo imprenditoriale, a propria volta tipico indice rivelatore della natura economica dell'ente pubblico".

lunedì 4 novembre 2019

Avvocato stabilito - Mancanza atto di intesa nullità della procura e carenza assoluta dello ius postulandi.

Il Tribunale di Frosinone in una recente sentenza ha ritenuto fondata l'eccezione in oggetto formulata da questo studio ed argomentata come segue.
L'art. 8 del D.Lgs n. 96 del 02/02/2001, ovverosia il decreto che ha recepito ed attuato la direttiva n. 98/5/CE volta a consentire l'esercizio della professione di avvocato in uno Stato membro differente da quello in cui si è acquisita la qualifica, dispone alla lettera:
“1. Nell'esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili, penali ed amministrativi, nonché nei procedimenti disciplinari nei quali e' necessaria la nomina di un difensore, l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l'autorità adita o procedente e nei confronti della medesima e' responsabile dell'osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori.
2. L'intesa di cui al comma 1 deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al giudice adito o all'autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell'assistito”.
Occorrerà, pertanto, stabilire quali siano le conseguenze dell'omesso deposito all'atto della costituzione dell'intesa in questione sancita in una scrittura privata autenticata ovvero della dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al Giudice adito.
I Giudici di Piazza Cavour, chiamati a pronunciarsi sull'argomento, hanno affermato la nullità della procura alle liti rilasciata a favore di un avvocato stabilito, per mancanza della necessaria intesa di affiancamento con un avvocato iscritto in Italia (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza n. 30709 del 21 dicembre 2017).
Il principio di diritto fissato nel provvedimento appena richiamato consiste nell'aver ritenuta invalida la procura rilasciata ad un avvocato stabilito in difetto di una specifica intesa con un avvocato affiancante poiché l’avvocato stabilito può sì svolgere attività giudiziale in Italia ma solo se affiancato da un avvocato iscritto in Italia e tale affiancamento risulti da una specifica intesa riferita alla singola controversia; intesa che non dovrà essere generica, dovendosi ricondurre alla singola controversia oggetto di affiancamento, e che dovrà sussistere al momento della costituzione in giudizio ed essere formalizzata in una scrittura privata autenticata oppure in una dichiarazione congiunta resa dagli avvocati al Giudice adito.
L’avvocato stabilito, in altri termini, può ovviare alla firma congiunta degli atti processuali assieme al collega italiano unicamente nel caso in cui con esso abbia raggiunto un’intesa che presenti le seguenti caratteristiche: risulti da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al Giudice adito o all’autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, ovvero, al primo atto di difesa dell’assistito.
Solo operando con le descritte modalità si viene ad instaurare una legittima rappresentanza processuale.
La giurisprudenza di merito, richiamandosi ai numerosi pareri espressi in argomento dal CNF, in situazioni analoghe a quella di nostro interesse ha rilevato la nullità della procura conferita all’avvocato stabilito in carenza dei suddetti requisiti, in quanto ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. n. 96/2001, l’avvocato stabilito sia privo di un generale ed autonomo ius postulandi nel territorio italiano in mancanza di una intesa di affiancamento con un avvocato italiano riconducibile alla specifica lite (vedi su tutte Tribunale di Torino Sezione VIII Civile Sentenza 17 ottobre 2016, n. 3577 e Tribunale Milano, sentenza 04 Dicembre 2017 n. 18722).
Invero il dato testuale della norma non lascia spazio a diverse interpretazioni; In particolare, il secondo comma del citato art. 8 impone la riferibilità alla singola controversia dell’intesa di affiancamento, lasciando discrezionalità esclusivamente sulla forma utilizzabile (potendo risultare o da scrittura privata autenticata o da dichiarazione di entrambi i difensori diretta al Giudice adito). Deve quindi escludersi come la predetta norma possa ritenersi soddisfatta sulla base della sola dichiarazione resa dall’avvocato affiancante al Consiglio dell'Ordine al momento dell’iscrizione dell’avvocato stabilito in Italia (dichiarazione che, come ritenuto dal CNF, non è neppure essenziale per l’iscrizione nella sezione speciale degli avvocati stabiliti).
Di conseguenza l'avvocato stabilito che non produca entro la costituzione in giudizio della parte rappresentata la dichiarazione d'intesa con l'avvocato italiano affiancante, imposta dall'art. 8 d.lgs. n. 96/01 – norma di natura imperativa, inderogabile e con finalità pubblicistica – è privo di ius postulandi ex art. 82, comma 3, c.p.c. L'atto di citazione e la procura alle liti in calce sottoscritti dal solo avvocato stabilito sono, pertanto, affetti da nullità assoluta e insanabile, con conseguente inammissibilità dell'azione avviata. Trattasi infatti di vizio che non può essere sanato ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.c. – misura applicabile solo ai difetti attinenti alla capacità processuale – né attraverso il rilascio di una nuova procura alle liti in sede di memoria ex art. 183, comma 3, n. 1, c.p.c. né attraverso la costituzione di altro avvocato.
Nello specifico, la carenza di ius postulandi dell'avvocato stabilito non dipende dai vizi della procura ad litem bensì dal divieto di rappresentare in giudizio la parte senza l'affiancamento di un avvocato italiano. La norma è infatti perentoria nell'affermare che “l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato a esercitare la professione con il titolo di avvocato”. Di talchè la fattispecie rimane del tutto estranea all’ambito di operatività dell’art. 182. comma 2°, c.p.c., che consente di sanare la procura viziata solo “sul versante” del Cliente e non anche dell’avvocato. Ci si trova, pertanto, in presenza di una procura del tutto inesistente poiché sottoscritta da avvocato straniero privo dello ius postulandi e, come tale, insanabile.
Inoltre, la possibilità di sanare il difetto/carenza di dichiarazione d’intesa si pone in netto contrasto con la ratio della norma, la quale richiede che il controllo dell’avvocato italiano sia ab origine e, all’uopo, dispone expressis verbis che la dichiarazione sia depositata “anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa” (art. 8 c.2 d.lgs. n° 96/01).
La carenza dello ius postulandi rappresenta così un ostacolo insormontabile, dal quale discende l’inammissibilità della domanda senza possibilità di alcuna sanatoria.
A sostegno della conclusione prospettata, depone altresì l’evidente parallelo giuridico esistente tra l’ipotesi di carenza di ius postulandi dell’avvocato straniero e quella dell’avvocato non iscritto all’Albo speciale dei cassazionisti che propone un ricorso dinanzi alla Suprema Corte. Nel caso in cui si adisca il Giudice di nomofilachia pur non essendo iscritti all’Albo speciale dei Cassazionisti, il ricorso è dichiarato inammissibile poiché nullo per carenza dello ius postulandi senza alcuna possibilità di sanare il vizio ex post, ad esempio con una nomina tardiva di avvocato cassazionista che ratifichi l'operato del collega, oppure con l'iscrizione successiva e/o tardiva all'albo speciale (Cass. n. 42491/12).
Come per l’avvocato cassazionista, dunque, anche per l’avvocato stabilito lo ius postulandi è condizionato dalla presenza di specifici requisiti ulteriori rispetto al titolo di avvocato, nello specifico individuati dall’art. 8 del d.lgs. n° 96/01 (“l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato”), in mancanza dei quali il professionista non è abilitato a proporre domanda giudiziale, che per questo, ove proposta in detti termini, deve considerarsi radicalmente inammissibile
Di seguito il link della sentenza del Tribunale di Frosinone.

giovedì 12 maggio 2016

Limiti all'autonomia negoziale dei privati nei contratti con la Pubblica Amministrazione in caso di rinnovo, proroga e rinegoziazione dei prezzi. Nuovo codice degli appalti.

L'autonomia negoziale del soggetto privato si riduce sensibilmente ove l'interlocutore sia un Ente di diritto pubblico, considerato preliminarmente che nei rapporti fra privati l'ambito di operatività dell'autonomia negoziale risulta essere quello tracciato nell'art. 1322 c.c., con i limiti ad essa posti, in linea generale, dagli artt. 1343, 1344 e 1345 c.c.
L'attività negoziale della Pubblica Amministrazione è espressione dell'autonomia privata di cui  gode, considerato che essa ha piena facoltà di realizzare un fine pubblico anche mediante l'attività contrattuale ordinaria. In tal caso essa agisce iure privatorum, spogliandosi della sua veste autoritativa e ponendosi sullo stesso piano di un soggetto privato, per cui la disciplina dei contratti posti in essere non differisce rispetto agli schemi negoziali utilizzati da qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento giuridico. Occorre, tuttavia, tenere presente che la valutazione discrezionale operata dall'amministrazione di ricorrere allo strumento contrattuale privato, poiché ritenuto più adatto per raggiungere i fini che la stessa si propone, è pur sempre funzionale al perseguimento dell'interesse pubblico, per cui nella fase preordinata alla stipulazione del contratto, la formazione della volontà della P.A. sarà comunque caratterizzata dall'emanazione di una serie di atti qualificati come amministrativi e, dunque, dominati dal diritto pubblico (c.d. "procedura di evidenza pubblica"). 
Sono proprio questi atti amministrativi preparativi e propedeutici al contratto a determinare l'ambito dell'autonomia negoziale dei privati, perché se da un lato consentono la facoltà di stipulare contratti di diritto privato dall'altro ne determinano anteriormente il contenuto. In estrema sintesi l'atto deliberativo che autorizza la gara o, se consentito, l'affidamento diretto contiene sin dall'inizio le condizioni contrattuali che potranno solo essere accettate e non discusse dal fornitore.
In linea generale deve dunque negarsi la possibilità di inserire nei contratti le clausole in questione, occorre però sottolineare che la normativa vigente prevede alcune ipotesi in cui la durata del contratto può essere rivista ma ciò avviene unicamente nei casi espressamente previsti dalla legge. Prima di elencare tali casi specifici dobbiamo tassativamente operare il distinguo fra “rinnovo” e “proroga”.
Sull'argomento degna di nota appare una recente sentenza del Consiglio di Stato, la cui Sezione V ha affermato che in tema “di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica. Va peraltro ricordato che la differenza tra rinnovo e proroga di contratto pubblico sta nel fatto che il primo comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali; la seconda ha invece come solo effetto il differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario”  (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2013 n. 4192).
La “proroga”, dunque, incide esclusivamente sulla durata di un rapporto contrattuale, mentre il “rinnovo” dà vita ad un nuovo rapporto tra le parti, che sostituisce quello precedente confermando le stesse parti contraenti, esso può essere espresso o tacito, a seconda che dipenda o meno da un’esplicita manifestazione di volontà delle parti. Nel nostro ordinamento il “rinnovo tacito” non risulta ammissibile e comporta la nullità del contratto mentre il “rinnovo espresso” e la “proroga”, alla luce dell’attuale normativa nazionale e comunitaria, sono consentiti nei soli casi previsti dalla legge, che di seguito andremo ad elencare.
Ipotesi  di proroga e rinnovo previste nel nuovo Codice degli appalti.
Il 19/04/2016, in attuazione delle direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE,  è entrato in vigore il “Nuovo Codice degli Appalti e delle Concessioni”, il quale fornisce disposizioni sulle fattispecie della “proroga” e del “rinnovo”. 
1.1  rinnovo
Più specificatamente, il V comma dell’articolo 63 del Codice degli appalti (titolato “Uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara”), regolamenta in modo espresso la possibilità di ripetere lavori o servizi analoghi già affidati all’operatore economico, “a condizione che tali lavori o servizi siano conformi al progetto a base di gara e che tale progetto sia stato oggetto di un primo appalto aggiudicato secondo una procedura di cui all'art. 59” (aperta, ristretta, procedura competitiva con negoziazione o dialogo competitivo). Il comma in esame aggiunge poi che “il progetto a base di gara indica l’entità di eventuali lavori o servizi complementari e le condizioni alle quali essi verranno aggiudicati. La possibilità di avvalersi della procedura prevista dal presente articolo è indicata sin dall’avvio del confronto competitivo nella prima operazione e l’importo totale previsto per la prosecuzione dei lavori o della prestazione dei servizi è computato per la determinazione del valore globale dell’appalto, ai fini dell’applicazione delle soglie di cui all’articolo 35, comma 1. Il ricorso a questa procedura è limitato al triennio successivo alla stipulazione del contratto dell'appalto iniziale”
Siamo in presenza di una forma di rinnovo del contratto il cui contenuto, anche economico, deve necessariamente essere previsto sin dal momento del bando di gara sia per quanto riguarda il valore iniziale dell'appalto sia per quanto riguarda il valore dell’eventuale ripetizione dei servizi. Il “rinnovo” in questione ha poi un limite temporale ben preciso, in quanto non può andare oltre i tre anni successivi al contratto iniziale.
1.2 rinnovo
A sua volta il successivo art. 106 del Codice degli appalti (titolato “Modifica di contratti durante il periodo di efficacia”) al comma 2° prevede la possibilità che all'aggiudicatario iniziale succeda “per causa di morte o per contratto, anche a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa   stabilita inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l'applicazione del presente codice”.
Anche in questo caso siano in presenza di una forma di “rinnovo” conseguente alle mutate condizioni soggettive dell'appaltatore.
2. proroga
Il successivo comma 11° dell'art. 106 del codice degli appalti dispone, invece, che “la durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l'individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all'esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli alla stazione appaltante”
Quella appena descritta è l'unica forma di “proroga” prevista dalla legge, la quale deve sempre essere contenuta nel bando iniziale di gara e giammai può influire sul prezzo stabilito nel contratto.
Infine, con riferimento ad eventuali mutamenti del prezzo del contratto, il comma 12° sempre dell'art. 106 del Codice degli appalti, ne stabilisce l'immutabilità “qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell'importo” nonché la facoltà della stazione appaltante di imporre all'appaltatore l'esecuzione alle identiche condizioni previste nel contratto originario, senza che ciò consenta il diritto alla risoluzione del contratto.
Al di fuori delle ipotesi suddette non pare vi sia possibilità alcuna di proroga, rinnovo e contestuale rinegoziazione dell'originario contratto di appalto, anche perché, eventuali procedure non previste sarebbero ostative al rilascio del Codice CIG. 
Per completezza di esposizione vi è da evidenziare che le norme del nuovo codice appena richiamate si applicano esclusivamente ai contratti sopra la soglia di rilevanza comunitaria individuata nell'art. 35 del codice stesso mentre per quelli sotto tale soglia, in teoria, si potrebbe dar corso ad un approccio negoziale che lascia un margine più ampio all'autonomia del soggetto privato. Si tratta, tuttavia, di un ipotesi remota e di scarsa applicazione pratica poiché la Pubblica Amministrazione, anche quando agisce sotto soglia, è tenuta comunque a rispettare i principi di economicità, concorrenza, correttezza e speditezza fissati nell'art. 30 del codice e, in ogni caso, giunge a detta forma contrattuale sempre a seguito di un procedimento amministrativo che fissa ab initio ed inderogabilmente i contenuti essenziali dello stipulando contratto,  quali, come detto, potranno solo essere accettati dal fornitore.

martedì 3 maggio 2016

Strisce blu tagliando non visibile multa non valida.

La Cassazione, confermando quanto deciso dal Giudice di Pace in primo grado e dal Tribunale in appello, ha stabilito che il possesso del tagliando di parcheggio, pur se non esibito adeguatamente all'interno della vettura in sosta, legittima la contestazione della violazione ma, nel contempo, non giustifica la soccombenza del Comune convenuto, atteso che non appare censurabile il comportamento del vigile che ha elevato la multa.

  Cass. Civ., Sez. VI, 27/04/2016, n. 8282

martedì 8 marzo 2016

Requisiti soggettivi per essere ammessi alla procedura di crisi da sovraindebitamento.

La Cassazione ha fissato i criteri per l'individuazione del "consumatore" ossia del soggetto ammesso a beneficiare della procedura prevista dalla Legge n. 3/2012.
La suprema Corte ha, infatti, affermato che "in tema di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3, la nozione di consumatore abilitato al piano ai sensi della citata legge non si riferisce necessariamente ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni di impresa o professionali, sia pregresse che attuali, essendo richiesto soltanto che dette relazioni non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, atteso che nello stato di insolvenza finale del consumatore non possono comparire obbligazioni assunte per scopi relativi alle predette attività di impresa o professionali. Pertanto, è consumatore ai sensi della legge succitata soltanto il debitore persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in una attività di impresa o professionale propria, salvo i debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo della medesima legge."
Gli Ermellini hanno puntualizzato che, per poter usufruire della procedura in oggetto, il debitore  può anche aver rivestito in passato la qualità di imprenditore ciò che rileva è che non residuano posizioni debitorie legata ai passati rapporti aventi natura imprenditoriale.
Ciò è dovuto al fatto che, rispetto alla precedente disciplina dettata dall'art. 1, 2° comma lett. b), del D.L. n. 212/2011 ove si parlava espressamente di "sovraindebitamento del consumatore", la rivisitazione dell'istituto conseguente alla Legge n. 3/2012 ha escluso ogni riferimento al "consumatore".

Cass. Civ., Sez. I, 01/02/2016 n. 1869

martedì 1 marzo 2016

Responsabilità professionale medica evitabilità intervento rischioso.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha recentemente dichiarato un chirurgo responsabile della morte di una paziente, conseguita al termine di un intervento di rimozione di ernia ombelicale, eseguito nonostante le condizioni cliniche della vittima lo sconsigliassero ed anzi lo rendessero altamente rischioso. La condotta del sanitario, nella circostanza, è stata ritenuta ulteriormente imprudente in quanto l'ospedale ove questi operava era privo del reparto di rianimazione: motivazioni, queste, giudicate idonee e sufficienti a radicare un giudizio di responsabilità civile a carico del medico.
Nel caso in questione, la responsabilità del chirurgo che aveva eseguito l'intervento letale, è stata riscontrata sulla scorta di una delle consulenze tecniche d'ufficio, quella ritenuta più affidabile fra le varie svolte, nella quale l'ausiliario del giudice deduceva che:
a) l'imprudenza del sanitario  consisteva nell'aver deciso di eseguire l'intervento nonostante le condizioni cliniche della paziente non solo lo sconsigliassero, ma anzi lo rendessero altamente rischioso;
b) l'intervento chirurgico in questione era "assolutamente privo del carattere di urgenza", e le sue conseguenze "prevedibili ex ante";
c) l'ospedale ove l'operazione venne eseguita era priva del reparto di rianimazione.
In estrema sintesi, secondo i Giudici di legittimità la colpa del chirurgo deve ravvisarsi nell'aver eseguito un intervento rischioso che poteva essere evitato.

Cass. Civ., Sez. III, 18/02/2016 n. 3173

lunedì 29 febbraio 2016

Equitalia illegittimità ipoteca iscritta senza termine difensivo preventivo.

La Corte di Cassazione ha stabilito che Equitalia è tenuta, prima di procedere all'iscrizione di ipoteca ai danni del contribuente, a concedere un termine preventivo di almeno trenta giorni affinché lo stesso possa far valere in contraddittorio le proprie ragioni; ove detto termine non venga rispettato, l'ipoteca così trascritta deve ritenersi illegittima e, come tale, può essere cancellata.
I Giudici di Piazza Cavour, sul punto, hanno sostenuto che l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 del D.P.R. n. 602/1973 non costituisce atto dell'espropriazione forzata bensì procedura ad essa alternativa; ne consegue che, come già affermato dalle Sezioni Unite, l'amministrazione finanziaria deve preventivamente comunicare al contribuente il suo intento di procedere all'iscrizione di ipoteca al fine di permettergli di presentare osservazioni o adempiere, in difetto si concretizza la violazione del diritto alla partecipazione del procedimento da parte dell'interessato, diritto tutelato dalla nostra normativa e da quella comunitaria.
L'ipoteca, pertanto, può essere cancellata ogniqualvolta il giudice accerti il mancato rispetto da parte di Equitalia di tutte le garanzie che l'ordinamento prevede a favore del contribuente.

Cassazione 26/02/2016 n. 3783